Plusvalenza sul marchio rateizzabile anche se il marchio non compare in bilancio

[Interessante]

  Recensione di Roberto Castegnaro     Pubblicata il 05/02/2020

Autore: Testo di Legge Circ. Risoluzione Fonte: Agenzia Entrate del 05/02/2020


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La plusvalenza realizzata mediante la cessione di marchi può essere rateizzata anche se i beni non sono stati iscritti nel bilancio


La plusvalenza derivante dalla cessione di marchi può essere rateizzata anche se i beni non sono stati iscritti nel bilancio, in quanto il cedente non ha sostenuto alcuna spesa per l’acquisto o per la produzione. In tal caso, precisa l’Agenzia delle entrate con la risposta n. 19 del 4 febbraio 2020, il costo da porre a raffronto con il corrispettivo ricevuto per determinare l’utile realizzato è pari a zero.

Il dubbio viene posto da un’associazione di categoria che rappresenta presso le istituzioni produttori attivi in Italia e che a livello internazionale aderisce a un’associazione di categoria europea di cui è anche membro del Consiglio direttivo.
L’istante è titolare di tre marchi registrati rispettivamente nel 2015, 2011 e 2012, di due domini internet registrati nel 2014 e di un altro dominio registrato nel 2011, e di una banca dati contenente le informazioni anagrafiche dei visitatori che hanno partecipato a un evento.
L’associazione informa che, per le attività commerciali di scopo sociale, si è avvalsa di una Srl di cui è unica socia. La Srl era anche licenziataria esclusiva di tutti i beni immateriali dell’istante.
Successivamente, una società per azioni ha acquistato, con scrittura privata, tutti i diritti sui beni immateriali di cui l’istante era titolare e di cui la Srl era unica licenziataria, suddividendo il pagamento del corrispettivo pattuito in più annualità.

Delineata la situazione, l’istante chiede chiarimenti in merito all’applicabilità dei principi di rateizzabilità alle plusvalenze realizzate a seguito della cessione considerando, in particolare, che i beni immateriali venduti non erano stati mai iscritti in bilancio del cedente.
Per l’istante, il fatto è irrilevante ai fini del riconoscimento della rateizzazione. L’ipotesi, infatti, secondo l’associazione, può rientrare nell’alveo di simili situazioni, già esaminate dall’Agenzia in precedenti documenti di prassi in cui la non iscrizione in bilancio non aveva rappresentato un ostacolo alla suddivisione delle plusvalenze in più esercizi finanziari.

L’Agenzia, per iniziare, ricorda che la plusvalenza generata da cessione di un bene a titolo oneroso è costituita dalla differenza tra la somma incassata e il costo non ammortizzato del bene. È quanto prevede l’articolo 86, comma 2, Tuir. Il successivo comma 4 dello stesso articolo definisce le modalità di imputazione, stabilendo in particolare che la plusvalenza concorre alla formazione del reddito per l’intero ammontare nell’esercizio in cui sono state effettuate, ma, se il bene è stato posseduto per un periodo non inferiore a tre anni, il contribuente può scegliere, in sede di dichiarazione dei redditi, di frazionare l’utile in quote costanti nell’esercizio stesso e non oltre la quarta annualità.
L’Agenzia, riferendosi al dubbio dell’istante, ritiene che si adattano al caso le precisazioni fornite con la risoluzione ministeriale n. 9/611 del 10 agosto 1991 relativa proprio alla cessione di un marchio. In tale occasione l’Amministrazione finanziaria aveva chiarito che il frazionamento delle plusvalenze in caso di cessione di un bene mai figurato in bilancio è possibile in quanto per il suo acquisto o la sua produzione non è stato sostenuto alcun costo e ai fini della determinazione della plusvalenza, conclude l’Agenzia, il costo da mettere a confronto con il corrispettivo realizzato è uguale a zero, come avviene in caso di totale ammortamento.

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