Tramite l’impresa familiare, l’imprenditore individuale esercita l’attività con la collaborazione dei suoi familiari, ossia il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado (articolo 230 bis del codice civile).
Nell’impresa familiare si conserva la natura individuale in capo all’imprenditore ancorché composta dal titolare e da uno o più collaboratori familiari. L’art. 230 bis però prevede che le decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all’impresa stessa.
L’articolo 5, comma 4, del Tuir stabilisce che i relativi redditi (e non le perdite) sono imputati, non oltre il 49%, ai familiari, a condizione che abbiano prestato in modo continuativo e prevalente (anche se non esclusivo) l’attività di lavoro nell’impresa, che resta “individuale”.
La partecipazione dei singoli familiari deve risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata stipulato entro il 31 dicembre precedente l’anno nel quale iniziano gli effetti fiscali.
Nella dichiarazione dei redditi va attestato (mediante la sua sottoscrizione) che le quote di partecipazione agli utili attribuite ai collaboratori sono proporzionate alla quantità e qualità del lavoro effettivamente prestato.
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