Le immobilizzazioni materiali: dal bilancio al regime fiscale
Recensione di Roberto Castegnaro Pubblicata il 17/08/2025
Autore: Vedi Articolo Fonte: Agenzia Entrate del 17/08/2025

Il momento determinante, ai fini della rilevazione, è quello in cui il processo produttivo è stato completato o quello in cui avviene l’acquisizione sostanziale del bene che si intende contabilizzare
Il principio contabile Oic16 detta criteri di rilevazione, classificazione e valutazione delle immobilizzazioni materiali validi per le società che redigono il bilancio secondo le disposizioni del codice civile. Le suddette regole contabili riguardano quei beni tangibili (sia acquistati all’esterno sia realizzati internamente) di uso durevole idonei a dare un’utilità economica duratura e destinati, per decisioni aziendali, allo svolgimento dell’attività. Si pensi a un fabbricato, a un impianto o a un macchinario che sia impiegato nel processo produttivo dell’azienda. Ciò che rileva è, dunque, la loro destinazione d’uso e non quella naturale.
Proprio in ragione della loro durevolezza economica, intesa come capacità di generare benefici futuri all’azienda, le immobilizzazioni materiali vengono iscritte nell’attivo dello stato patrimoniale.
Sono dunque esclusi quei beni che, non essendo impiegati funzionalmente nella gestione caratteristica dell’azienda, sono destinati alla vendita o alla trasformazione entro i limiti di un esercizio; essi, infatti, sono iscritti nell’attivo circolante dello stato patrimoniale.
La rilevazione iniziale e le rilevazioni successive
In ottemperanza al generale criterio civilistico di prevalenza della sostanza sulla forma, il momento determinante ai fini della rilevazione delle immobilizzazioni materiali è quello in cui il processo produttivo è stato completato (in ipotesi di autoproduzione) oppure in cui avviene l’acquisizione sostanziale dei rischi e dei benefici economici connessi al bene che si intende contabilizzare. Siffatta situazione non sempre coincide con l’atto di trasferimento del titolo di proprietà, ma può realizzarsi in un momento diverso in virtù di specifiche clausole contrattuali (basti pensare alla vendita con patto di riservato dominio).
La prima iscrizione delle immobilizzazioni materiali è alternativamente pari:
- al costo di acquisto, diminuito del relativo ammortamento o svalutazione
- al costo di produzione, diminuito del relativo ammortamento o svalutazione.
Il costo di acquisto del bene deve essere considerato al netto dell’imposta sul valore aggiunto (tranne per quelle società che operano in regime di indetraibilità e per le quali l’Iva rappresenta un costo) e di eventuali sconti o abbuoni ricevuti. A tal fine, vi rientrano anche i costi accessori (ad esempio spese notarili, di trasporto, di progettazione, di installazione).
Quando il bene è prodotto internamente, i costi di produzione comprendono tutti i costi diretti (manodopera, materie prime, forniture) e sostenuti sino alla messa in uso.
Ad ogni modo, sono direttamente imputabili, cioè capitalizzabili, al costo del bene anche gli oneri finanziari (ad esempio, interessi passivi) connessi a finanziamenti contratti per la produzione o l’acquisto presso terzi delle immobilizzazioni.
A differenza di quanto accade nell’ambito dei principi contabili internazionali, sia la rilevazione iniziale sia quelle successive devono necessariamente seguire il criterio del costo (di acquisto o di produzione).
L’ammortamento e le spese di gestione
Il criterio del costo, che abbiamo detto essere pari al costo di acquisto o di produzione, deve essere ammortizzato sistematicamente in ogni esercizio secondo un piano di ammortamento determinato in modo proporzionale alla residua utilità economica del bene.
Quanto al momento in cui il bene deve essere ammortizzato, la disciplina civilistica prevede che l’ammortamento decorre dal momento in cui l’immobilizzazione è disponibile e pronta per l’uso.
Il processo di ammortamento, poiché soggiace alla logica dell’obsolescenza tecnica ed economica del bene, riguarda tutti i cespiti, compresi quelli temporaneamente non utilizzati. Per lo stesso motivo, sono esclusi dall’ammortamento quei beni la cui utilità è fisiologicamente destinata a non esaurirsi nel tempo, come le opere d’arte e i terreni (ne consegue che se un fabbricato insiste su un terreno, il suo valore deve essere scorporato).
Relativamente alla gestione delle spese afferenti il bene ammortizzato, rileviamo che la disciplina contabile introduce una diversificazione sulla base della tipologia di costo: se si tratta di spese di manutenzione ordinaria, vale a dire oneri ricorrenti, queste transitano a conto economico nell’esercizio in cui sono sostenute, mentre se si tratta di manutenzione straordinaria, i relativi costi possono essere capitalizzati, andando così ad aumentare il valore contabile del bene ed essendo suscettibili di ammortamento negli esercizi successivi.
Per quanto attiene ai metodi di ammortamento, il principio contabile ammette espressamente di preferire il calcolo a quote costanti; tuttavia, è consentito utilizzare il metodo a quote decrescenti quando esso è in grado di realizzare una migliore correlazione tra ripartizione del costo e benefici futuri. In un’ottica prudenziale, non è invece ammesso il metodo di ammortamento a quote crescenti.
In ogni caso, ricordiamo che per far sì che esso sia quanto più possibile aderente alle condizioni reali dell’azienda, il piano di ammortamento può sempre essere revisionato e, anzi, deve essere rivisto allorquando intervengano mutamenti che incidono sulla reale possibilità di utilizzazione residua del bene.
Le valutazioni
Va evidenziato come il tema della svalutazione dei beni per perdite durevoli di valore, originariamente trattato dal principio contabile Oic 16, venga ora dettagliatamente disciplinato dal principio contabile Oic 9 denominato “Svalutazioni per perdite durevoli di valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali”.
Già l’articolo 2426, comma 1, punto 3) del codice civile stabilisce che “l’immobilizzazione che, alla data di chiusura dell’esercizio, risulti durevolmente di valore inferiore a quello determinato secondo i numeri 1) e 2) deve essere iscritta a tale minore valore. Il minor valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci se sono venuti meno i motivi della rettifica effettuata”. L’Oic 9 ribadisce, dunque, che una perdita durevole di valore si realizza quando il valore recuperabile di un’immobilizzazione è inferiore al suo valore netto contabile.
Affinché si possa procedere alla svalutazione di un’immobilizzazione è necessario, quindi, stimare il valore recuperabile, inteso come il maggiore tra il valore d’uso (valore attuale secondo i flussi di cassa interni) e il valore equo (fair value) del bene, ovverosia il corrispettivo atteso in caso di libera transazione sul mercato, al netto dei costi di vendita.
In ogni caso, una volta individuata la riduzione di valore, la differenza deve essere imputata al conto economico.
La rivalutazione dei beni materiali, invece, è possibile unicamente nei casi in cui sia emanata una legge speciale che la consenta. Ne consegue che, ai fini di una rideterminazione in positivo del valore dell’immobilizzazione, la mera inflazione non costituisce di per sé ragione sufficiente a superare il divieto di rivalutazione nei casi non legislativamente previsti.
L’alienazione dei beni strumentali
Il trattamento contabile della vendita del bene immobilizzato consiste nell’eliminazione della relativa voce in bilancio per la misura corrispondente al valore netto contabile dell’immobilizzazione ceduta, in contropartita al corrispettivo ricevuto.
L’eventuale differenza (positiva o negativa) tra il valore netto contabile e il corrispettivo della cessione, darà origine a una plusvalenza o a una minusvalenza, da rilevare a conto economico rispettivamente nella voce A5 “altri ricavi e proventi” o nella voce B14 “oneri diversi di gestione”.
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