Regime agevolato impatriati nuove risposte dall’Agenzia
Recensione di Roberto Castegnaro Pubblicata il 01/03/2025
Autore: Testo di Legge Circ. Risoluzione Fonte: Agenzia Entrate del 01/03/2025

Sul periodo minimo di residenza all’estero, sulla riduzione della base imponibile per i figli minori e sui requisiti di elevata qualificazione o specializzazione
Nuovi chiarimenti, da parte dell’Agenzia delle entrate, sull’applicazione del nuovo regime fiscale agevolato per i lavoratori impatriati. L’occasione, i quesiti posti da due contribuenti attraverso l’istituto dell’interpello.
Il nuovo regime, introdotto dal decreto legislativo n. 209/2023 (articolo 5), è rivolto ai contribuenti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia a partire dal periodo d’imposta 2024. Nel caso il datore di lavoro estero e quello italiano coincidano, il periodo minimo di permanenza del lavoratore all'estero si allunga da tre a sei o sette anni, a seconda che si tratti o meno del medesimo soggetto (datore/gruppo) presso cui era svolta l'attività lavorativa in Italia prima del trasferimento all'estero. Il principio, chiarisce l’Agenzia, si applica anche nel caso in cui, prima del ritorno in Italia, il lavoratore abbia interrotto il rapporto di lavoro dipendente per intraprendere un'attività di lavoro autonomo. Chiarimenti anche sull’ulteriore riduzione della base imponibile al 40% in caso di figli minori. Infine, la sussistenza dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione richiesti dalla norma non può essere valutata tramite interpello, riguardando questioni tecniche non fiscali. Sono questi, in sintesi, i dubbi sciolti dall’Agenzia con le risposte n. 53 e n.55 del 28 febbraio 2025
Periodo minimo di residenza all'estero
La prima richiesta posta all’attenzione dell’Agenzia (risposta n. 53) riguarda il caso di un contribuente, che intende sapere quale sia il periodo minimo di residenza all'estero che deve intercorrere prima del trasferimento in Italia, soprattutto alla luce del fatto che, nella sua situazione specifica, ha nel frattempo interrotto il rapporto con il datore di lavoro estero. Come comportarsi quindi, nell’eventualità che non si configuri una continuità tra l’attività svolta all'estero e quella svolta successivamente nel territorio nazionale?
Ripercorrendo la disciplina relativa al nuovo regime fiscale agevolato per i lavoratori impatriati, la normativa prevede che i redditi di lavoro dipendente, assimilati e autonomo prodotti in Italia vengano tassati al 50% fino a 600mila euro, a condizione che il lavoratore non sia stato residente fiscalmente in Italia nei tre anni precedenti, come stabilito dall’articolo 5, comma 1, del Dlgs n. 209/2023.
Il medesimo comma stabilisce che il regime agevolato può essere applicato anche nel caso in cui un lavoratore trasferisca la propria residenza in Italia per prestare attività lavorativa per lo stesso soggetto (residente o non residente) che lo aveva precedentemente impiegato all’estero. In questo scenario, il periodo minimo di residenza all’estero, necessario per l’accesso al regime, aumenta da tre a sei o sette anni, a seconda delle circostanze.
Infatti, se il lavoratore non è stato in precedenza impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto, il periodo di permanenza all'estero richiesto è di sei anni. Nel caso in cui, prima del suo trasferimento all'estero, sia stato già impiegato in Italia in favore dello stesso soggetto oppure di un soggetto appartenente al suo stesso gruppo, il periodo minimo di residenza all'estero sarà di sette anni.
Nonostante questa distinzione, la legge non specifica la tipologia di rapporto contrattuale che deve intercorrere tra il lavoratore e il datore di lavoro, e quindi l'allungamento del periodo minimo di permanenza all'estero si applica indipendentemente dal fatto che il lavoratore torni a lavorare in Italia come dipendente o autonomo. L’elemento necessario per l’allungamento del periodo è che il lavoratore presti attività lavorativa per lo stesso soggetto per il quale ha lavorato all'estero.
Nel caso specifico, il periodo minimo di permanenza all'estero per il contribuente sarà di sette anni. Questo principio, sottolinea l’Agenzia, si applica anche nel caso in cui, prima del ritorno in Italia, il lavoratore abbia interrotto il rapporto di lavoro dipendente per intraprendere un'attività di lavoro autonomo.
Ulteriore riduzione della base imponibile
Esistono ulteriori benefici connessi alla nuova tassazione agevolata per gli impatriati, come la riduzione al 40% della base imponibile in caso di figli minori. È lo stesso contribuente del quesito a chiedere conferme su questo tema (risposta n. 53). La domanda riguarda l'ipotesi in cui entrambi i genitori siano intenzionati a richiedere la maggiore esenzione, prevista dell'articolo 5, comma 4 del Dlgs n. 209/2023.
A questo proposito, l’Agenzia ricorda che tale riduzione è per prima cosa subordinata alla condizione che il figlio minore o adottivo risieda nel territorio dello Stato durante il periodo in cui il lavoratore beneficia del regime fiscale agevolato.
L’Agenzia specifica inoltre che la circostanza per cui, successivamente al rientro, i figli diventino maggiorenni non determina la perdita del maggiore beneficio fiscale fino al termine del periodo agevolato e, infine, conferma la possibilità di applicare la riduzione a tutti e due i genitori (comma 5 del medesimo articolo), a condizione che siano rispettate tutte le altre condizioni previste dalla normativa. A meno che non emerga una specifica disposizione che preveda un trattamento differenziato, quindi, semaforo verde per entrambi.
Requisiti di elevata qualificazione o specializzazione
Come già anticipato in apertura, l'accesso al regime dipende dal rispetto di specifiche condizioni. La richiesta presentata all’Agenzia con la risposta n. 55 fa riferimento ai requisiti stabiliti dell'articolo 5 del Dlgs n. 209/2023, in particolare a quello previsto alla lettera d), per il quale sono ammessi all’agevolazione i lavoratori in possesso dei requisiti di “elevata qualificazione o specializzazione”, come definiti dal Dlgs n. 108/2012 e dal Dlgs n. 206/2007 (relativi, rispettivamente, ai titolari di una qualifica professionale superiore e alle professioni regolamentate). Nel caso specifico, il contribuente chiede se il possesso di un titolo di istruzione superiore di durata almeno triennale sia sufficiente a garantire l’accesso al nuovo regime agevolativo.
Dopo aver ricordato che il citato Dlgs n. 108/2012 ha modificato alcune disposizioni del Tui (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), l’Agenzia ha tuttavia chiarito che, coerentemente con i principi generali in materia di interpello definiti dall’articolo 11 della legge n. 212/2000, devono considerarsi inammissibili quelle istanze con le quali viene richiesta la valutazione dei titoli di elevata qualificazione o specializzazione. Tali principi, infatti, escludono l’ammissibilità di istanze di interpello che non prospettano alcun dubbio interpretativo ma presuppongono solo l’accertamento di questioni di fatto.
Ai fini dell’individuazione dei requisiti necessari per l’accesso al regime agevolativo, il citato articolo 5, comma 1, del Dlgs n. 209/2023 rinvia alle disposizioni contenute nel Tui, mentre per le professioni regolamentate rinvia a quelle nel Dlgs n. 206/2007, entrambe norme non fiscali. Ne consegue, pertanto, che l’interpretazione di tali disposizioni non può avvenire in sede di interpello, poiché riguarda questioni tecniche non fiscali.
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