Cessione del ramo d’azienda e valore contestato

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  Recensione di Roberto Castegnaro     Pubblicata il 24/08/2024

Autore: Testo di Legge Circ. Risoluzione Fonte: Agenzia Entrate del 24/08/2024


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Cassazione, il metodo di calcolo presuntivo applicato dall’ufficio pone a carico del contribuente la prova contraria


Pronuncia della Corte di cassazione n. 16655/2024.

Valido l’avviso di rettifica dell’ufficio che aveva valutato l’avviamento dell’azienda sulla base del calcolo matematico previsto ex lege. Il contribuente, in caso, ha l’onere di provare che la stima effettiva è inferiore rispetto alla valutazione effettuata, dimostrando l'incoerenza del metodo utilizzato.

La sentenza in commento, favorevole all’Agenzia delle entrate, si sofferma sui criteri di accertamento adottati dall’Agenzia nell’ambito della cessione di un ramo di azienda.

In seguito alla rettifica del valore da parte dell’Ufficio, il contribuente vedeva accolto il proprio ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, esito confermato anche dalla Commissione tributaria regionale.
In particolare, i giudici di secondo grado ritenevano non adeguatamente motivato l’avviso dell’Agenzia, in quanto l’Ufficio aveva enunciato solo criteri astratti per fondare il valore attribuito all’azienda oggetto di trasferimento.
I giudici di secondo grado hanno precisato che mancava un raccordo tra l’utilizzo dei criteri adottati ed il caso concreto, non essendosi tenuto conto della specificità della azienda e non essendosi fatta una valutazione in relazione alla idoneità dei ricavi a sostenere costi di servizio compresi quelli aventi natura fiscale; in particolare, argomentano i giudici in appello, l’avviamento non poteva essere calcolato sulla base di stime matematiche o di semplici percentuali, dovendosi considerare i fattori gestionali ed amministrativi; pertanto, il ricorso ai criteri adottati avrebbe determinato una sovrastima del valore di avviamento.

Diversamente, i giudici di legittimità hanno accolto il ricorso della Agenzia risultata soccombente in secondo grado sulla base del seguente iter interpretativo.

Innanzitutto, viene rovesciato l’assunto per cui sarebbe illegittimo l’avviso di rettifica impugnato in ragione della inidoneità del criterio adottato, fondato sulla percentuale di redditività applicata alla media dei redditi dichiarati negli ultimi tre anni antecedenti la cessione in esame, sulla base di quanto previsto dall'articolo 2, comma 4, del Dpr n. 460/1996; la Commissione tributaria regionale aveva ritenuto che tale dato dovesse essere ponderato insieme ad altri elementi che caratterizzano lo specifico andamento dell'attività sociale, i suoi costi, la sua peculiare natura e le prospettive di esercizio futuro.

In particolare, la Corte di cassazione osserva che l’articolo 2, comma 4 del Dpr n. 460/1996, nello stabilire i relativi criteri di applicazione, prevedeva che

"Per le aziende e per i diritti reali su di esse il valore di avviamento è determinato sulla base degli elementi desunti dagli studi di settore o, in difetto, sulla base della percentuale di redditività applicata alla media dei ricavi accertati o, in mancanza, dichiarati ai fini delle imposte sui redditi negli ultimi tre periodi d’imposta anteriori a quello in cui è intervenuto il trasferimento, moltiplicata per 3.

La percentuale di redditività non può essere inferiore al rapporto tra il reddito d’impresa e i ricavi accertati o, in mancanza, dichiarati ai fini delle stesse imposte e nel medesimo periodo (...)".

Il consolidato orientamento giurisprudenziale ha chiarito che con tale criterio il legislatore ha inteso fornire i valori minimi cui l’Amministrazione finanziaria deve attenersi nell’accertamento con adesione, nella consapevolezza del fatto che solo la proposta di valori inferiori a quelli effettivi e riscontrabili in esito ad un ordinario contenzioso può indurre il contribuente ad una soluzione adesiva.
Se utilizzati al di fuori della procedura adesiva, a tali valori va riconosciuto carattere presuntivo nel senso che l’effettivo valore di accertamento non sia inferiore a quello cui si perviene mediante la loro applicazione.
Tale criterio normativo, come tutti i metodi pratici di calcolo, lascia sussistere un margine di approssimazione, riscontrabile tra l’altro in ogni altro modello valutativo, ma che ben può essere ancora utilizzato, nonostante l'abrogazione di tale decreto da parte del Dlgs n. 218/1997, atteso che lo stesso non ha previsto un metodo alternativo di determinazione di tale valore, ferma la possibilità per il contribuente di dimostrare un valore inferiore dell’avviamento aziendale rispetto a quello accertato.

L’applicazione dei criteri di stima previsti dal Dpr n. 460/1996 determina valori minimali dell’avviamento, in funzione dell'accertamento con adesione; la loro applicazione, da un lato integra un indizio a favore dell'Amministrazione, che potrà impiegare un criterio diverso dando conto della sua maggiore affidabilità specifica; d’altra parte, pone a carico del contribuente l’onere di dimostrare un valore di avviamento inferiore a quello indicato, tramite l’applicazione di parametri diversi da quelli previsti dal Dpr n. 460/1996.

L’Amministrazione deve pertanto solo fornire gli elementi indiziari sufficienti a giustificare il proprio assunto.

Diversamente, il contribuente non potrà limitarsi alla semplice opposizione rispetto all'utilizzo di una metodologia di calcolo dovendo altresì dimostrare l'incoerenza del metodo utilizzato, contestando la valutazione degli elementi di fatto posti alla base dei criteri utilizzati.

Sarà infatti suo onere, nel contestare l'accertamento, in base ad allegazioni puntuali e specifiche, che tengano conto dei fattori economici dell’azienda, dimostrare le ragioni della divergenza dei propri dati da quelli indicati dall'Amministrazione finanziaria.

In conclusione, la Suprema corte riconosce valore di prova presuntiva e/o indiziaria all'applicazione del metodo matematico di cui all’articolo 2 comma 4, del Dpr n. 460/1996. Viene pertanto ribaltato sul contribuente l'onere di provare che il valore effettivo è inferiore ai parametri minimi stabiliti dalla legge.

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