Oro usato in reverse charge solo se rottamato o lavorato
Recensione di Roberto Castegnaro Pubblicata il 08/05/2019
Autore: Vedi Articolo Fonte: Agenzia Entrate del 08/05/2019
NO al reverse se l’acquirente è un commerciante che utilizza il metallo prezioso in un processo di trasformazione e di vendita
La Ctr di Firenze, con la sentenza n. 603 dell’8 aprile 2019, ha stabilito che, per l’applicazione del regime Iva del reverse charge, occorre tener conto della destinazione finale dell’oggetto venduto, indipendentemente dalla sua natura di oro usato, semilavorato o dalla sua esatta qualificazione merceologica, nonché dell’attività del cessionario, che deve essere esclusivamente finalizzata al processo di fusione e di affinazione chimica del materiale prezioso, non anche alla sua commercializzazione.
I fatti
La vertenza traeva origine da un controllo della Guardia di finanza nei confronti di una ditta individuale, che aveva effettuato cessioni di articoli di gioielleria usati in oro, emettendo fatture di vendita nei confronti di una società, con applicazione del regime del reverse charge (articolo 17, comma 5, Dpr 633/1972), descrivendo i beni ceduti come “rottami d’oro”.
Secondo l’Amministrazione finanziaria, considerato che la società cessionaria svolgeva l’attività di “recupero metalli preziosi, vendita e commercio di oro, metalli preziosi, leghe e affini e l’esercizio di laboratorio per fusione, raccolta e trasporto rifiuti speciali, commercio al dettaglio di oggetti preziosi”, la ditta individuale non avrebbe potuto applicare il regime dell’inversione contabile, ma avrebbe dovuto assoggettare le cessioni al regime del margine (articolo 36, Dl 41/1995), con aliquota ordinaria del 20 per cento.
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